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Quanto fa zero per infinito?

Un banale modello matematico può aiutarci a comprendere meglio i rischi del nucleare

Nach der Katastrophe im japanischen Atomkraftwerk Fukushima sind heiße Diskussionen um die Sicherheit von Kernkraftwerken entbrannt. Angezweifelt werden vor allem die fragwürdigen Methoden zur Risikoberechnung, welche bereits oft zu falschen Ergebnissen geführt haben. Oftmals würde es genügen, sich mit Hilfe des gesunden Menschenverstandes ein Bild über die vorhandenen Risiken zu machen.

Pasquale Episcopo

Monaco, 20 maggio 2011
Nel linguaggio comune la parola rischio è sinonimo di pericolo. Si è in una situazione di rischio quando sussiste incertezza sugli esiti di un evento e quando questi possono comportare una perdita o un effetto nocivo e indesiderato. Se consultiamo un buon vocabolario della lingua italiana, abbiamo modo di osservare che esistono molteplici definizioni di “incertezza” afferenti a campi molto diversi tra loro: filosofia, politica, economia, statistica, fisica, ingegneria, medicina e quant’altro. Il che altro non significa che questo: la nostra vita è permeata di incertezza.

Personalmente di questa parola e del suo significato mi sono fatto un’idea abbastanza “precisa”: l’incertezza è la misura del nostro grado di ignoranza. Quanto più di un certo fenomeno ignoriamo i meccanismi specifici e le cause che lo determinano, tanto più non siamo in grado  di prevederne il comportamento. Consideriamo ad esempio il lancio di una moneta.

Sappiamo tutti che il risultato può essere o testa o croce, eppure nessuno è in grado di prevedere con esattezza cosa uscirà.

Tuttavia, se conoscessimo le relazioni tra le variabili in gioco (peso, materiale, dimensioni e forma della moneta; intensità e direzione della forza applicata; altezza rispetto al piano di caduta, temperatura, densità e umidità dell’aria; latitudine del luogo dell’esperimento; quota sul livello del mare, etc.), si potrebbe costruire un modello matematico che ci consentirebbe di fare delle previsioni così accurate da rasentare la massima precisione. Non mi risulta che qualcuno si sia mai cimentato in un’opera simile.

Tsunami
L’incertezza diventa imponderabilità quando il grado di ignoranza è assoluto. Se prevedere il risultato del lancio di una moneta è teoricamente fattibile, altrettanto non si può dire per ogni tipo di fenomeno. Grazie alla scienza disponiamo di conoscenze e strumenti con cui possiamo realizzare cose impensabili soltanto un secolo fa. Esistono tuttavia molte altre cose che ancora non riusciamo a fare. Tra queste, prevedere esattamente il momento, il luogo e l’intensità di un terremoto. Quello dell’11 marzo 2011 ha avuto una magnitudo nove della scala Richter e ha spostato l’arcipelago giapponese di ben due metri avvicinandolo al continente asiatico. Ne è nato uno tsunami che ha sconvolto gran parte della costa. La centrale nucleare di Fukushima è stata colpita violentemente. Era situata a pochi metri dall’acqua dell’Oceano Pacifico, un nome che non sembra del tutto appropriato.

Nei giorni successivi ci sono state esplosioni nei quattro reattori della centrale. L’ambiente circostante è stato investito da livelli di radioattività sempre più alti. Progressivamente il territorio è stato evacuato fino a un raggio di 30 km dalla centrale. Molte persone hanno dovuto lasciare in fretta le proprie abitazioni e ancora non sanno se e quando potranno rientrarvi. Recentemente il governo giapponese, temendo un altro tsunami e un secondo disastro nucleare, ha deciso di chiudere la centrale di Hamaoka situata sulla costa a circa 200 km a sud-ovest di Tokyo. Decisione saggia che poteva e doveva essere presa anche per Fukushima.
La catastrofe che ha colpito il Giappone ha lasciato tutti sgomenti, ma anche increduli. Ciò che è difficile comprendere è come mai un popolo intelligente come quello giapponese abbia potuto costruire centrali nucleari proprio sulla costa davanti ad una delle placche tettoniche più a rischio di terremoti del pianeta. È possibile che in tutti questi anni nessuno tra politici, amministratori, ingegneri e tecnici abbia ipotizzato un nesso di tipo causa-effetto tra terremoto, tsunami e catastrofe nucleare? Peraltro la parola tsunami è stata coniata proprio in Giappone e vuol dire onda (nami) del porto (tsu). Essa significa semplicemente questo: un’onda anomala di grande altezza produce danni maggiori in un porto (e nella sua città) piuttosto che su una spiaggia libera.

Ciclo di vita
In natura niente si crea e niente si distrugge, ma tutto si trasforma. Panta rei, tutto scorre. Per dirla in termini moderni, tutto ha un ciclo di vita. Ce l’ha una pietra, come un albero, come un ippopotamo. Anche un prodotto industriale ce l’ha. Un'auto, un frigorifero o un sacchetto di plastica. Una nave nasce molti anni prima del varo. Quando la sua vita operativa è terminata, non è terminato il suo ciclo di vita. Connesso con il concetto di ciclo di vita c’è un altro concetto assai importante, quello del costo del ciclo di vita. Le fasi di fattibilità, di progettazione, di costruzione hanno una durata spesso considerevole e ad esse sono associati costi ingenti. Poi ci sono i costi di esercizio. Infine i costi di dismissione e di alienazione.

Nel caso di una centrale nucleare quanto è lungo il suo ciclo di vita e a quanto ammonta il relativo costo? Due importanti questioni si pongono preliminarmente. La prima è se nel ciclo di vita della centrale debba essere incluso quello del suo combustibile, ovvero le barre di uranio arricchito. Questione non irrilevante, visto che queste dopo l’impiego continuano ad essere altamente radioattive per un tempo assai lungo e che debbono essere opportunamente stoccate e preservate. La seconda è se nel ciclo di vita debbano essere inclusi i costi di un eventuale incidente (alla centrale, ma anche al suo combustibile dopo lo stoccaggio), quelli cioè che non tanto l’azienda che gestisce la centrale quanto l’intera comunità dovranno sostenere. Nel seguito dell’articolo cercheremo di quantificare questi costi.

Centrali nucleari
442 centrali nucleari sono attualmente in esercizio nel mondo. Gran parte di queste sono in Europa. Nella sola Germania ce ne sono diciassette. Sono sicure? La domanda è tanto attuale quanto inquietante. Attuale per via dell’incidente occorso a Fukushima. Inquietante per via delle conseguenze, ma anche perché nessuno è in grado di dare una risposta che sia precisa e veritiera.
Nel 2003 la società Gesellschaft für Anlagen- und Reaktorsicherheit (GRS) ha pubblicato uno studio sulla sicurezza delle centrali nucleari in Germania. Nello studio, disponibile in rete (1), c’è un paragrafo dal titolo apparentemente rassicurante: “Probabilità come indice di sicurezza”. In esso vengono citati i metodi usati per calcolare la probabilità che in uno dei reattori in funzione in Germania accada un incidente e di questa ne viene fornito il valore: 4 x 10-6, ovvero 4 per milione, cifra che corrisponde ad un incidente ogni 250.000 anni di funzionamento.
Questo risultato è stato recentemente contestato da due docenti di statistica delle università di Bielefeld e di Monaco, i professori Kauermann e Küchenhoff rispettivamente, in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung (2). Mettendo in relazione la sicurezza delle centrali nucleari a quella degli aeroplani di linea e facendo alcune assunzioni, i due docenti hanno concluso che nei prossimi dieci anni la probabilità di avere un incidente in uno dei diciassette impianti in funzione in Germania ammonta al 9%. Tra nove per cento e quattro per milione c’è una bella differenza, non c’è che dire.

Modelli matematici
Un modello matematico è una rappresentazione semplificata della realtà. In esso vengono considerate le variabili in gioco in un certo fenomeno e le relazioni che esistono tra di loro. Più il numero di variabili cresce, più aumentano le relazioni tra di esse e più il modello si avvicina alla realtà diventando preciso. Tuttavia cresce anche la possibilità di compiere errori, se le valutazioni preliminari sono sbagliate o se le assunzioni fatte sono troppo arbitrarie. La differenza tra i risultati dei professori Kauermann e Küchenhoff e quelli della GRS rispecchia proprio questo aspetto. Essa è così grande da suscitare non solo preoccupazione, ma anche diffidenza sulla validità delle assunzioni e degli stessi modelli impiegati.
Alternativamente a tali modelli se ne potrebbe usare uno semplificato, sottoposto a una manipolazione forzata suggerita dal buon senso. Il modello ha la forma R = P(E) x I.

Vediamo cosa significa. La lettera E sta per evento causa di incidente. P(E) è la sua probabilità. I è il suo impatto sul progetto, sugli utilizzatori, sulla collettività. Il prodotto delle due grandezze dà il rischio R. Tale formulazione è usata nel project management per calcolare i rischi di progetto. L’aspetto interessante è che la probabilità dell’incidente è messa in relazione con l’impatto.
R = P(E) x I è un modello matematico di grande semplicità, tanto da apparire persino banale.
P(E), come ogni probabilità, può assumere valori tra 0% e 100%, ovvero tra 0 e 1. Quanto all’impatto I, esso corrisponde al prezzo da pagare se l’evento E si verifica. Questo prezzo può essere molto elevato. Diciamo che I può assumere valori tra 0 e ∞ (infinito). Facciamo ora un esempio. Con P(E) = 0,05 ed I = 40.000 euro, R risulta uguale a 2.000 euro. Chiaramente se l’incidente accade il prezzo da pagare sarà 40.000 euro, ma in via teorica e in considerazione della probabilità esso equivale a 2.000 euro. A questo punto i responsabili del progetto devono decidere se sono disposti ad accettare questo valore del rischio o se intraprendere azioni per ridurlo.
Cosa succede quando I ha un ordine di grandezza estremamente alto? Nel caso di una centrale nucleare, quale valore possiamo usare per P(E) e per I? In assenza di un valore “affidabile” e universalmente riconosciuto, dobbiamo sceglierne uno che soddisfi dei requisiti minimi di plausibilità. Ciò vuol dire usare il valore più conservativo. Un valore ad esempio come il 9%, ovvero 0,09, individuato dai professori Kauermann e Küchenhoff, è sicuramente molto più prudente e conservativo di 4 x 10-6 che è il valore determinato dalla GRS. Passiamo al calcolo di I. Anche qui brancoliamo nel buio. Quanto vale I se l’incidente riguarda una centrale situata in Germania? Quanto vale se le misure da adottare dopo l’incidente prevedono l’evacuazione di un area del raggio di 30 o 50 chilometri, se non più vasta? Quanto vale in termini economici questo buco di vita nel cuore dell’Europa? E soprattutto, quanto vale se l’incidente provoca delle perdite di vite umane?

0 x
Partendo dalla suddetta impostazione, forziamo ora il modello manipolando le due grandezze che ne fanno parte. Imponiamo dunque che la probabilità P(E) assuma valori sempre più piccoli, ipotesi che va nella direzione di chi sostiene che le centrali sono sicure quasi al 100%. Facendo questo è come se accettassimo e facessimo nostra la tesi di chi sostiene a spada tratta la scelta dell’energia nucleare in quanto assolutamente sicura. Dall’altro estremo, per compensazione, forziamo lo scenario imponendo che l’incidente comporti costi così alti da essere praticamente insostenibili. Sollecitare in questo modo il modello vuol dire calcolare il valore del prodotto 0 x ∞. In matematica una relazione che non dà risultati certi prende il nome di forma indeterminata. 0 x ∞ è una di queste forme, dal risultato incerto e instabile. In altre parole il valore del rischio, espresso con la formula R = P(E) x I è incalcolabile. Semplicemente. Incalcolabile nel vero senso della parola. Con buona pace dei nostri due professori universitari, come degli autori della relazione della GRS, come di ogni matematico vivente o già defunto o che debba ancora nascere. Con più filosofia e meno matematica comprendiamo che l’indeterminazione è cosa di cui diffidare, quindi da evitare.
Bisogna dunque abbandonare la via del calcolo numerico e affidarsi a valutazioni più pratiche basate sulla ragionevolezza e sul buon senso. E al buon senso consentire di contemplare cose e fatti che i modelli matematici non possono quantificare e che pertanto tendono ad escludere e ad ignorare, ad esempio che possa accadere un evento imponderabile. Gli italiani e le italiane che il 12 e 13 giugno andranno a votare per il referendum pro o contro il nucleare è bene che abbiano presente il valore del prodotto 0 x ∞ e il suo significato, se applicato al caso di una centrale nucleare. E che siano consapevoli del fatto che solo arrestando questo tipo di tecnologia ci si potrà dedicare a sviluppare altre forme di energia più pulita e compatibile con la vita.

Riferimenti:
(1) “Zur Sicherheit des Betriebs der Kernkraftwerke in Deutschland”. La relazione è richiamabile al link: http://www.grs.de/sites/default/files/pdf/GRS-S-46.pdf 
(2) “Nach Fukushima stellt sich die Risikofrage neu” FAZ del 30 marzo 2011. L’articolo è richiamabile al link: http://www.faz.net/s/Rub469C43057F8C437CACC2DE9ED41B7950/Doc~E1DF592B0369A4B808FF0D874C8760B16~ATpl~Ecommon~Scontent.html

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