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Polvere di ... smog!

L’inquinamento in Italia e i richiami dell’Europa Polvere di... smog!

Die Europäische Kommission hat Italien offiziell ermahnt, weil das Land kaum etwas gegen die Umweltverschmutzung unternimmt. Trotz teurer Sanktionen, die auf Italien zukommen können, scheint die Bevölkerung die Ermahnung zu
ignorieren. Inzwischen haben Gesundheitsschäden durch die Umwelt- und Luftverschmutzung deutlich zugenommen

Franco Casadidio

Alzi la mano chi è a conoscenza della procedura di infrazione che l’Europa è in procinto di aprire nei confronti dell’Italia a causa dei ripetuti sforamenti dei limiti imposti dalla legge alla concentrazione di particolato fine e ultrafine in atmosfera! Non preoccupatevi se non ne sapevate nulla; sappiate che siete in buona, anzi in ottima, compagnia. La notizia,
apparsa in un breve articolo sul Corriere della Sera di giovedì 6 maggio, è stata abilmente ignorata da quasi tutti gli altri media, televisioni in primis anche se per gli addetti ai lavori non giunge certo inaspettata perché un po’ tutti erano preparati all’evento, si attendeva solamente il crisma dell’ufficialità che è arrivato nella prima settimana di questo strano maggio italiano, più autunnale che primaverile.
In sostanza l’Unione Europea ci ha inviato l’ultimo ammonimento dopodiché scatteranno le sanzioni (multe!) previste per gli stati inadempienti alle normative
in materia di tutela della salute pubblica.

Il fatto è che la UE da tempo ci chiede pressantemente di ridurre i livelli di particolato fine e ultrafine (il famigerato PM10, ma non solo) che risultano da anni al di fuori di ogni controllo e che, a detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, provocherebbero nel nostro Paese la bellezza di 8.220 morti ogni anno. La UE ce lo chiede da anni e noi da anni ce ne infischiamo, come solo noi sappiamo fare.
La direttiva europea, recepita in Italia con anni di ritardo, prevede che il limite di 50 microgr/mcubo non debba essere superato per più di 35 giorni in un anno, limite di gran lunga ignorato da noi. Basti pensare che a Milano nel 2009 gli sforamenti sono stati centoundici! E non è che nelle altre regioni se la passino molto meglio. Cosa significa tutto questo? Significa che milioni di italiani sono sottoposti a rischi gravissimi per la loro salute se è vero che, stando a centinaia di autorevoli ricerche mediche condotte in ogni angolo del mondo, concentrazioni elevate di PM10 hanno conseguenze devastanti sulla salute umana, con patologie quali asma, BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), enfisemi e bronchiti, ma anche leucemie e cancro. Come dicevamo, l’OMS stima che le vittime di questa situazione siano oltre 8.000 l’anno. Un dato impressionante se confrontato, ad esempio, con i morti sul lavoro che nel 2008 in Italia sono stati 1.120 (fonte: INAIL) mentre per incidenti stradali sono decedute 4.731 persone (fonte: ACI-Istat). Il fatto è che chi muore sul lavoro fa, per così dire, notizia, così come i tanti giovani che, purtroppo, perdono la vita in incidenti stradali all’uscita dalle
discoteche; chi muore per cancro ai polmoni o per complicazioni legate alla BPCO, invece, non fa notizia, è uno dei tanti e così capita che ogni anno in Italia, a causa dei valori elevati di particolato nell’aria, spariscano due cittadine come Norcia e Cascia (rispettivamente patria di San Benedetto e Santa Rita) senza che nessuno alzi un dito per fermare la strage, nonostante le roboanti promesse arrivate da ogni parte dell’agone politico. Ma del resto questo è un Paese strano, come dimostrano anche alcuni numeri. Le piste ciclabili italiane, di cui tanto si vantano tutti gli amministratori locali, tutte messe insieme non raggiungono quelle di sole tre città europee come Helsinki, Vienna e Copenhagen, con Napoli, un milione e passa di abitanti, senza nemmeno un metro di piste ciclabili (fonte: Legambiente Ecosistema Urbano 2009). A Milano, ad esempio, ci sono 100 km di piste ciclabili (a Copenaghen sono 320 con metà della popolazione), ma con un tasso di motorizzazione di 63 auto ogni 100 abitanti: tanto per avere un’idea, a Manhattan il rapporto è di tredici auto ogni cento abitanti! Ed è proprio questo uno dei drammi: la mancanza di un piano di mobilità alternativa, sia a livello nazionale che locale, visto che il traffico è responsabile di gran parte del particolato immesso in atmosfera, come riportato dal rapporto Malaria 2010 di Legambiente. Stando allo studio citato, in città quali Roma e Milano il traffico veicolare arriva a produrre il 60% delle polveri sottili, dato confermato anche da altri studi riferiti a piccole e medie città come quello effettuato dall’Ufficio ambiente della Provincia di Terni che ha stimato come a livello cittadino il PM10 prodotto dal traffico sia pari al 52,9% del totale e di questo ben il 98% sia da attribuire ad autovetture e veicoli commerciali. Di front a dati come questi, in un Paese civile la classe politica correrebbe ai ripari rinunciando anche a dormire pur di trovare il sistema per porre rimedio ad una situazione catastrofica. Ma il nostro ha smesso da tempo di essereun Paese civile, se mai lo è stato. Mentre gli altri costruivano piste ciclabili, incentivando e potenziando il trasporto pubblico e disincentivando quello privato, da noi l’unico pensiero era, ed ancora è, come far vendere più auto a mamma Fiat, con i risultati che ben conosciamo. Report, uno di migliori programmi del palinsesto televisivo, se non il migliore, nella puntata del nove maggio, dedicata proprio al trasporto, ha tracciato un quadro desolante della situazione in Italia, mettendo a confronto le esperienze di alcuni Paesi europei con le nostre. Nel corso della trasmissione sono state presentate le storie di Malmoe in Svezia e Friburgo in Germania. Intervistando i responsabili della mobilità della cittadina svedese, 300.000 abitanti che arrivano a tre milioni considerando le zone immediatamente circostanti, si scopre che il problema traffico loro lo hanno affrontato per la prima volta nel 1976, quando da noi c’era al governo Aldo Moro, Peppino Di Capri vinceva Sanremo e Felice Gimondi il giro d’Italia, e da allora sono riusciti a costruire ben 420 km di piste ciclabili riducendo la congestione dovuta al traffico veicolare del 30%.A Malmoe gli spostamenti in bicicletta sono circa il 50% del totale giornaliero e, in caso di neve, prima vengono ripulite le piste ciclabili e dopo le strade. I mezzi di trasporto pubblico hanno corsie preferenziali che consentono loro di rispettare gli
orari di transito creando un rapporto di fiducia con i cittadini che ne usufruiscono volentieri. A Friburgo la situazione è, se possibile, ancora migliore. Negli anni Novanta l’amministrazione comunale riscatta dalle truppe francesi una vecchia area militare dismessa e lancia un progetto per la costruzione di un quartiere ecosostenibile; costruzioni realizzate con particolari accorgimenti per garantire un consistente risparmio energetico, piste ciclabili, mezzi pubblici efficienti e nessuna auto. Il risultato è il quartiere di Vauban, 5.500 abitanti e la metà delle famiglie senza un’auto di proprietà: un’utopia da noi! Il fatto è che a Vauban l’auto non serve perché i progettisti hanno pensato prima di tutto a sistemare nel quartiere tutti i servizi essenziali come scuole, banche, uffici pubblici, negozi e poi hanno costruito le abitazioni. Così facendo la gente non ha bisogno di spostarsi, e quando è obbligata a farlo, può contare sulla metropolitana di superficie che ha tre fermate nel quartiere, passa ogni sette minuti e, arrivata in città, si interra nella linea metropolitana permettendo così di raggiungere qualsiasi luogo. Da noi le cose vanno in maniera “leggermente” diversa. Roma, Casal Monastero, 10.000 abitanti; qui, nonostante il quartiere risalga agli anni Novanta, chi l’ha progettato non ha pensato ai servizi pubblici essenziali. Risultato: 10.000 abitanti che hanno bisogno di spostarsi ogni giorno per portare a scuola i figli, andare in banca o al supermercato piuttosto che andare dal medico o alle poste ma anche per andare al lavoro. I mezzi pubblici quasi non esistono e quei pochi che viaggiano, non avendo corsie preferenziali, restano imbottigliati per ore nel caotico traffico
capitolino, perdendo così ogni attrattiva per i potenziali clienti. Tutto questo, ben inteso, in una città che ha il più alto indice di motorizzazione in Italia con 70 auto ogni 100 abitanti, vecchi e bambini compresi!
Che ci sia qualcosa che non va nel sistema dei trasporti in Italia è, lapalissianamente, scontato. Ma cosa e perché non funziona? Prima di tutto a non funzionare è la classe politica nazionale e locale visto che, mentre negli altri Paesi si progettavano quartieri senza auto e si investiva nel potenziamento dei trasporti pubblici, da noi ci si preoccupava di far arricchire i palazzinari e si incentivava la vendita di autoveicoli in un mercato
al limite della saturazione, con scelte a dir poco discutibili. Poi, visto che, come recita la saggezza popolare, ogni popolo ha la classe politica che si merita, una larga fetta di colpe le abbiamo anche noi semplici cittadini. Primo perché in tanti lustri non siamo riusciti a cacciar via questa cricca di affaristi e lobbisti che ci governa, regalando il giusto ricambio generazionale,
sacrosanto e dovuto in un Paese che ha la classe dirigente più vecchia del continente, con un Presidente delle Repubblica ottuagenario che siede sui banchi del Parlamento dal lontano 1953 e che tra i suoi parlamentari annovera venti condannati in via definitiva e una selva di prescritti (tra cui il capo del governo e quello, in pectore, dell’opposizione!). Oltre a questo siamo anche un popolo che non riesce proprio a fare a meno del mezzo di trasporto privato, sia esso uno scooter quando siamo ragazzi o l’auto di seconda mano appena patentati fino al SUV, ultimissimo modo per dimostrare a se stessi e agli altri il raggiungimento di una posizione di rispetto all'interno della scala sociale, quasi a voler parafrasare una vecchia pubblicità: per ottenere un grande rispetto c’è bisogno di una grande macchina! Siamo un popolo che non cammina più ma spende milioni di euro per andare in palestra, segno evidente che i nostri problemi nascono nella psiche prima che altrove.
Cosa fare per invertire la rotta, ammesso che non sia già troppo tardi? Come prima cosa avere ben chiaro che la bacchetta magica non ce l’ha nessuno e che per provare a fare qualcosa di concreto c’è bisogno di stravolgere i nostri modi di fare, le nostre abitudini, cominciando dai bambini, i cittadini di domani. Dare spazio a progetti che riguardino l’ambiente e la salute a partire dall’asilo, abituando i bambini ad andare a scuola a piedi, rispolverando, ad esempio, un’idea semplice semplice di qualche anno fa, il piedibus, nient’altro che un gruppo di bambini che, tutti in fila, si recano a scuola accompagnati a turno da alcuni dei loro genitori. Creare delle “zone franche” intorno alle scuole, dove sia vietato l’accesso alle auto private per
rendere più sicuri gli spostamenti dei bambini. Incentivare la mobilità pubblica a discapito di quella privata, riducendo i parcheggi e aumentando le tariffe per i rimanenti, creare una vera intermodalità nei trasporti, con parcheggi protetti per le bici nei pressi delle stazioni e delle fermate degli autobus, costruire e mantenere efficienti le piste ciclabili, incentivare
economicamente il ricambio dei mezzi pubblici più vecchi con dei nuovi mezzi a trazione elettrica, soprattutto per i centri storici, mandare a casa tutta la classe politica nazionale e locale senza salvare nessuno, impegnandosi tutti, in prima persona, nella gestione della cosa pubblica, dalle scuole dei nostri figli ai luoghi di lavoro, dalle associazioni ai comitati spontanei nati per tutelare i diritti di semplici comunità di cittadini. Il percorso è lungo e pieno di ostacoli ma il tempo a nostra disposizione per agire diminuisce sempre più lasciando esposti noi e i nostri figli ad un futuro nero, nero come la polvere che respiriamo quotidianamente.

(2010-3 pag 12)

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