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Omnia Romae venalia sunt

La storia si ripete tristemente e gli scandali della politica ne sono l’amara conferma

Der lateinische Titel heißt übersetzt „In Rom ist alles verkäuflich“ und bezieht sich auf Ereignisse von vor 2100 Jahren. Dieser Satz scheint nach den neuesten Vorfällen wieder sehr aktuell zu sein.

Pasquale Episcopo

Monaco di Baviera, 23 settembre 2011.
Quand’ero piccolo amavo la storia, quella con la esse maiuscola. La leggevo con interesse nei libri di scuola, ma soprattutto nell’enciclopedia dei ragazzi “Il Tesoro”, che un bel giorno fece la sua apparizione in casa. Avevo più o meno dieci anni e in quegli otto pesanti volumi avrei trovato di che soddisfare la mia curiosità e anche, permettetemelo, la mia sete di sapere. Allora non c’era internet (che bello!) e la TV in bianco e nero aveva due soli programmi e trasmissioni razionate. Anche i giocattoli erano scarsi. Così quegli otto libroni diventarono per me degli amici generosi, discreti e fedeli. Volentieri trascorrevo le ore sfogliando quelle pagine, fantasticando e imparando al tempo stesso. Così appresi eventi e vicende, personaggi e nomi, luoghi e date della storia delle grandi civiltà.

Fenici, Egizi, Assiro Babilonesi. E poi la civiltà minoica e poi ancora quella greca e poi quella romana. E compresi cosa significasse il termine “culla della civiltà” dato al Mar Mediterraneo.

Vivendo nel Meridione a pochi chilometri da quel mare, era per me motivo di orgoglio trovarmi geograficamente al “centro” della storia. Duemila anni fa non c’era un solo metro della costa del Mar Mediterraneo che non fosse sotto Roma, tanto che i Romani lo chiamarono “mare nostrum”. Ma quel possesso era costato caro. Anni ed anni di lunghissime lotte tra le sponde e sulle coste di quel mare, come ad esempio le guerre puniche, che si combatterono per oltre un secolo e che terminarono nel 146 a.C. con la distruzione di Cartagine.

Oggi vorrei ricordare un personaggio che colpì la mia attenzione durante quelle letture. Il personaggio in questione si chiamava Giugurta e visse in Africa, nella Numidia, ma morì a Roma. 2150 anni fa la Numidia era abitata da una popolazione berbera e, a seguito delle guerre puniche, era in parte divenuta provincia romana. Il suo territorio corrispondeva all’attuale Algeria orientale e si estendeva fino ai confini con le odierne Tunisia e Libia.

Giugurta non aveva sangue blu. Egli era soltanto un nipote, peraltro illegittimo, del re numida Massinissa, alleato dei Romani durante le guerre puniche. A Massinissa successe Micipsa che inviò Giugurta in Spagna a combattere con i Romani al fianco di Publio Cornelio Scipione l’Emiliano. In Spagna Giugurta si distinse e per questo motivo, prima di morire, Micipsa lasciò il vasto territorio del regno anche a lui oltre che ai propri figli Aderbale e Iempsale. Ma commise l’errore di non definirne la divisione. In breve nacquero dispute e Giugurta si diede subito da fare per eliminare i suoi contendenti. Ci riuscì con l’astuzia, la menzogna e l’inganno, diventando così padrone e sovrano dell’intera Numidia. Mentre combatteva contro i due fratelli, si tenne buoni i Romani più influenti inviando loro ricchi doni. Ciò non bastò ad evitare che Roma mandasse in Numidia il proprio esercito per controllare ciò che stava accadendo. Ma sia il pretore Lucio Opimio prima, sia il console Lucio Calpurnio Bestia dopo, furono corrotti. Fu a questo punto che il Senato romano decise di convocare il re numida per sottoporlo ad un interrogatorio. Ricevute rassicurazioni sulla propria incolumità, Giugurta si recò a Roma dove corruppe il tribuno Caio Bebio che pose il veto sull’interrogatorio. In pratica, una sorta di legge “ad personam” ante litteram. Il processo fu interrotto e Giugurta fuggì.
La storia narra che tornato in Numidia egli abbia affermato “Omnia Romae venalia sunt” - “A Roma tutto è in vendita” - una frase destinata a diventare celebre. Pensava di averla fatta franca, ma ormai le sue malefatte erano state smascherate. L’esercito fu nuovamente inviato in Africa. La guerra fu combattuta a più riprese e vi presero parte i consoli Quinto Cecilio Metello e Caio Mario. Alla fine Giugurta fu catturato e portato a Roma. Qui fu gettato nelle carceri sotterranee del Foro Romano dove morì di fame. Alla sua morte il Senato decise di istituire un tribunale speciale che doveva processare tutti coloro che si erano fatti corrompere. Bookmaker rating en.bet-rate.top best bookmakers

Le gesta di Giugurta sono giunte a noi grazie allo storico romano Sallustio che visse alcuni anni in Nord Africa. Sicuramente Giugurta non fu il primo uomo a fare uso della corruzione, tuttavia egli lo fece sistematicamente, alla luce del sole, usando metodi spudoratamente sfacciati. Ciò, naturalmente, nulla toglie alle colpe di coloro che si fecero comprare. La frase “Omnia Romae venalia sunt” forse fu solo un’espressione forte usata da Sallustio allo scopo di descrivere in modo inequivocabile il dilagante malcostume nella Roma repubblicana, peraltro afflitta da numerose lotte intestine, complotti e congiure. 21 secoli dopo le cose a Roma non sembrano esser molto migliorate.

Oggi nella Capitale vive e lavora un uomo il cui comportamento pare abbia trovato in Giugurta una ricca fonte di ispirazione. Il suo nome è così noto che si può benissimo fare a meno di menzionarlo. Di lui e delle sue gesta si occupa da tempo la stampa nazionale e internazionale. Recentemente perfino “Economist”, settimanale britannico di stampo conservatore, ha scritto su di lui un dossier intitolato “L’uomo che ha fottuto un intero Paese”. Egli è un ricchissimo imprenditore, capitano di azienda e di imbarcazioni. Gran cavaliere del lavoro, possiede televisioni, palazzi, giornali, assicurazioni, banche, squadre di calcio e quant’altro. Con i suoi soldi e con il suo potere quest’uomo ha comprato di tutto e di più. Cose, ma anche persone: politici, funzionari, imprenditori, belle ragazze. Tuttavia egli non è un corruttore, piuttosto si potrebbe definirlo un benefattore, tuttalpiù un imbonitore. Egli stesso ama considerarsi un filantropo, un cuore generoso e altruista, un animo magnanimo e prodigo verso chiunque abbia bisogno. La distribuzione di omaggi, doni e prebende è oggetto di grande attenzione da parte sua e la relativa preparazione è sempre accurata e meticolosa. Tutto ciò richiede non solo capitali ingenti, ma anche idee, organizzazione, risorse, energie e tempo. Tantissimo tempo. La gran parte del tempo del nostro benefattore. Sta di fatto però che il suo tempo, quest’anima nobile, dovrebbe dedicarlo ad altre faccende. Faccende per il cui espletamento sono richieste ben altre qualità e competenze, nonché spiccato senso della responsabilità e comprovata onestà. Si dà il caso infatti che il filantropo in questione sia anche (ma a suo parere soltanto “a tempo perso”) il premier del nostro Paese. Ovvero capo del governo nonché capo di un grande partito politico.

In virtù del suo successo come imprenditore egli è entrato anni or sono in politica e ha fissato la sua sede di lavoro a Roma. Qui grazie alla sua posizione e al suo potere è riuscito a reclutare, e poi li ha messi in parlamento, una cerchia di personaggi di scarso valore e di incerta moralità. Portaborse in libera uscita, anonimi individui invertebrati. Siccome non passeranno alla storia è inutile citarne i nomi. Va detto però che costoro contribuiscono a formare la maggioranza di governo assicurando la sopravvivenza politica del premier. Attraverso il loro interesse a mantenere i posti che occupano alla Camera e al Senato, essi sono gli ultimi paladini di un consenso che al premier garantisce una fragile tenuta in parlamento, ma che ormai da tempo non si riflette più nel Paese.

Se il premier fosse persona dotata di buon senso andrebbe via. Ma evidentemente la sua malattia (narcisismo cronico, ndr.) gli impedisce di farlo. Ed è proprio questa sua malattia che giustifica l’assenza di senso di colpa e di vergogna che lo accompagnano in tutte le occasioni e che puntualmente gli fa fare figuracce. In Italia come all’estero ne ha collezionate così tante che qualsiasi altra persona dotata di pudore avrebbe da tempo lasciato l’incarico. Ormai siamo all’epilogo. Eccolo, lo vediamo: capitano di un bastimento di nome Italia sbattuto da un mare in burrasca. Il mare è proprio il Mediterraneo, culla di civiltà, perenne testimone di tragedie umane. La nave è in pericolo, ma il capitano non vuole abbandonarla. Crede di essere un eroe, ma non sa, il tapino, che a determinare il destino di quel vascello è stato proprio lui. Se non abbandona la nave, sarà la nave, inabissandosi, a causare la sua fine. Se solo lo capisse, si butterebbe in acqua e buttandosi salverebbe capra e cavolo, se stesso e la nave Italia.

Si salvi capitano, milioni di italiani la implorano di mettersi in salvo. E non si preoccupi della nave. Senza di lei la nave Italia riprenderà la rotta, non importa quale, ma è certo che resterà a galla. Si prenda una scialuppa, e remi, remi in direzione sud, verso le coste del Nord Africa. Qui, nei territori che un tempo furono di Giugurta, soltanto nove mesi fa un giovane laureato tunisino che non aveva di che sfamare la sua famiglia si è dato fuoco e con quel fuoco ha acceso le micce della rivoluzione araba. Qui ancora oggi imperversano rivolte di intere popolazioni contro i loro dittatori, imbroglioni e sfruttatori, e contro le discriminazioni, gli abusi e le ingiustizie sociali che hanno caratterizzato i loro regimi. Uno di loro è un suo vecchio amico, oggi in disgrazia. Se lo ricorda? Lo ha addirittura baciato sulla mano, e con quel bacio gli ha dimostrato affinità elettive. Lo raggiunga nel suo nascondiglio e gli chieda asilo politico. Se ottiene un rifiuto (cosa peraltro non improbabile) non demorda e provi pure a fargli un offerta. Vedrà, è solo questione di prezzo. E poi magari impari l’arabo e condivida in senile armonia le gioie del suo harem. Viva felice e contento e per piacere, non ci dia più sue notizie, né si aspetti di riceverne dall’altra sponda del Mediterraneo. Culla di civiltà e di discrezione. Capitano, sia bravo, dimostri di cosa è capace la sua generosità e se ne vada. Faccia a tutti noi un semplice regalo. Il più grande tra tutti quelli finora elargiti: ci restituisca l’orgoglio di essere italiani!

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