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La grandezza della semplicità

Piero della Francesca Il genio artistico del pittore rinascimentale celebrato in un’interessante mostra

Die Stadt Arezzo widmet dem Maler Piero della Francesca eine Ausstellung der besonderen Art. Der Künstler hat maßgeblich zur Entwicklung der Malerei der Renaissance beigetragen.

Miranda Alberti

La mostra che Arezzo ha dedicato a questo eccellente pittore del primo Rinascimento è destinata a rimanere a lungo nella memoria e nel cuore del visitatore che l’abbia percorsa nella sua interezza: dal Museo di arte medioevale e moderna alla Chiesa di San Francesco passando dal Duomo, dal piccolo museo della Madonna del Parto di Monterchi al Museo Civico di San Sepolcro, la città che lo vide nascere intorno al 1420.

Immersi nella bellezza del suo centro storico aretino, avvolti nell’incanto del paesaggio della Valtiberina, invitati a retrocedere in quel passato straordinario che vide fiorire un’arte ed una cultura irripetibili, è stato meraviglioso cogliere la maestosa semplicità dei suoi dipinti che tanto rivelano, pur continuando a nascondersi nel mistero del loro fascino.

Le tappe di questo “pellegrinaggio pittorico” erano costituite da titoli a molti già noti: La Flagellazione, affresco dalle molteplici interpretazioni e letture tanto da sembrare “il caso irrisolto” di un romanzo poliziesco; i profili emblematici del Dittico dei Duchi di Urbino; La leggenda della Vera Croce che si dipana nella volta dietro l’altare della Chiesa di San Francesco; la commovente Madonna del Parto, che ci parla di una maternità serena e sognante portata con umano orgoglio; l’imponente Resurrezione di un Cristo energico e determinato che emerge dal sepolcro a cui si appoggiano dormienti ed ignaresentinelle.

Ma chi era Piero della Francesca? Vorremmo saperlo, vorremmo scoprire l’origine del suo talento, ma la sua biografia è alquanto magra. La data di nascita è incerta, l’ambiente che lo circondava, bambino, quello di una semplice famiglia di artigiani. Importanti sono stati gli incontri con altri grandi pittori del suo tempo come Roger van der Weyden, il Perugino, il Signorelli con cui condivideva la volontà di ricerca e d’innovazione. Determinanti quelli  con umanisti come Leon Battista Alberti e il matematico Luca Pacioli che lo indussero a perfezionare la sua teoria prospettica esposta poi nel saggio: De Prospectiva Pingendi. Grandi storici dell’arte come Roberto Longhi si sono cimentati nell’interpretazione della sua opera, nella lettura dei suoi colori eppure sembra che niente ci venga in soccorso nello spiegare l’incanto che si prova osservando la complessa semplicità di quelle immagini.

Come quando di fronte al Sogno di Costantino ci sentiamo catturati da un sentimento indefinibile in cui pace, attesa e inquietudine si alternano senza posa.  E alzando lo sguardo verso la Battaglia di Eraclio e Cosroe non sappiamo spiegarci perché quelle figure immobili ci diano una tale sensazione di dinamicità del tutto. L’occhio che vorrebbe posarsi sui particolari viene subitamente sospinto a ripercorrere sempre e di nuovo la drammatica scena. È il mistero degli opposti che si fondono in una sintesi che torna ad aprirsi incessantemente. È il mistero del capolavoro che emerge dal tempo e dalle interpretazioni sempre nuovo, unico, inimitabile. Eppure sembra che Piero abbia avuto pietà di noi poveri osservatori confusi e che, con i suoi “bianchi di luce”, ci abbia fatto un dono di serenità da chiudere nell’anima e da portare con noi, come un talismano, nel grigio delle nostre esistenze.

2007-3 pg 13

 


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