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Categoria: Cultura
Pubblicato Giovedì, 02 Dicembre 2010 10:12

Per una pedagogia interculturale

Il presente ci sta sorpassando... anzi ci ha già sorpassato...

Pädagogik in Deutschland: Während sich in den Professorenköpfen oft hartnäckig die Spuren vergangener Methoden halten, ist die Vielfalt verschiedener Kulturen schon lange in den Unterrichtsräumen angekommen. Die Lehrkräfte leiden darunter, denn sie sind darauf immer noch nicht vorbereitet. Und auf Schulleiterebene bleibt man weiterhin in der Vergangenheit.

Miranda Alberti

Ho espresso in vario modo, anche scrivendo su questa rivista, il mio punto di vista sul concetto di integrazione che interpreto nei termini di una rispettosa reciproca amicizia nella differenza, ma sulla base del comune rispetto dei principi fondamentali posti nella Costituzione degli stati democratici. Lo stallo in cui si trova l’approvazione della Costituzione europea impedisce di fatto la nascita di un’Europa democraticamente unita. Il prevalere degli interessi e dei punti di vista nazionali continua ad ostacolare lo sviluppo di positive sinergie. Eppure vi sarebbe molto da imparare gli uni dagli altri, molta materia su cui riflettere e lavorare.


Un campo privilegiato ritengo che sia quello della didattica scolastica e dell’approccio pedagogico, oltre che dell’armonizzazione dei diversi sistemi scolastici. Per il nostro futuro è necessario che si vada verso una nuova pedagogia che sostenga l’intelligenza e la creatività a scapito dei sempre regnanti dogmi. Anche il punto di vista nazionale può costituire una potente e cieca dogmatica. Leggendo nel Die Zeit del 30 novembre 2006, ci si meraviglia che due eminenti professori tedeschi come Jürgen Baumert e Hermann Lange, pur ammettendo i gravi limiti (democratici) del sistema scolastico tedesco, giungano infine ad opporsi ad ogni cambiamento in nome di un dogmatico e non comprensibile principio di continuità nazionale. In base a questo principio si potrebbe da subito abbandonare il lusso di permetterci un parlamento legiferante. Ma questo è. I professori, l’attuale intellighenzia dirigenziale, ha conosciuto soltanto questo modello scolastico e di questo ha approfittato (coloro che non ne hanno approfittato non hanno voce in capitolo), non è abituata al confronto, non è allenata al cambio di prospettiva.


Ma possiamo permetterci ancora a lungo questa miopia nei nostri dirigenti? Il presente ci sta sorpassando, le classi sono sempre più composte da bambini di varie lingue e culture, sia in Germania che in Italia. Con un minimo di lungimiranza possiamo prevedere che queste classi interculturali sono l’embrione di quello che sempre di più diventerà il nostro ambiente di vita. Se riusciamo a sviluppare fra di loro modelli di dialogo produttivo, basato sul rispetto e sulla conoscenza reciproca, potremo sperare in un futuro in cui tutti collaborino alla pari ad affrontare i problemi che si porranno. Offrire, oggi, a questi bambini una ristretta prospettiva nazionale e monoliguistica significa sottonutrirli e non prepararli alle sfide del domani. Sebbene a livello di progetti di ricerca si vada facendo qualcosa in questa direzione, e mi è capitato di sentirne alcuni veramente interessanti, il ritardo dell’applicazione sistematica di una pedagogia interculturale è veramente preoccupante. Gli insegnanti sono spesso lasciati soli a far da impossibile ponte fra le richieste di un sistema nazionale superato e una realtà complessa per cui non sono stati preparati.


Penso alle pareti della classe italiana dove accanto al crocifisso domina un’imponente carta geografica nazionale su cui molti bambini non possono ritrovare la loro casa d’origine o quella dei loro nonni, mentre gli scolari del luogo ricevono un’impressione del tutto sbagliata della proporzione e della rilevanza della nazione in cui sono nati. Che si tratti di una pedagogia insufficiente lo dimostrano vari fatti di cronaca, ma soprattutto l’osservare l’incongruenza con cui i nostri giovani (anche i più preparati) riprendono meccanicamente antichi pregiudizi razziali mentre coltivano, allo stesso tempo, intense amicizie personali con ragazzi di tutto il mondo. Mancano loro nuove categorie mentali intercultuali che la scuola dovrebbe diffondere con programmi adeguati.


È strano, se ci si pensa bene, che le polemiche più accese si siano sviluppate solo intorno ai simboli della religione, poiché molte sarebbero le cose da ripensare in una prospettiva interculturale. Evidentemente il dogmatismo religioso non è in concorrenza con il dogmatismo nazionale, ma ne è un suo alleato. Si tratta di far piazza pulita dell’uno e dell’altro sostituendoli con un concetto laico di tolleranza culturale e religiosa.

2007-1 pg 18


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