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Vivere con due lingue

Intervista con la dottoressa Elisa Hermann

Frau Dr. Hermann ist Linguistin und Expertin in Zweisprachigkeit. Sie erklärt uns, wie Kinder damit umgehen können und wie die Gesellschaft darauf reagiert.

Chiara Vigoriti

La dottoressa Hermann è italiana e vive da diversi anni in Germania. Dopo un master in Inghilterra ed il dottorato di ricerca in Linguistica a Berlino ha insegnato Linguistica del contatto nelle facoltà di Berlino e Postdam.

INTERVenti (IV): Dottoressa Hermann, cominciamo dal principio. Potrebbe darci la definizione di bilinguismo?
Elisa Hermann (E.H.): Non esiste una sola, unica, definizione di bilinguismo; personalmente concordo con la definizione di un noto linguista secondo il quale bilinguismo significa "vivere con due lingue” anche se spesso sarebbe più appropriato parlare di pluralismo linguistico, in quanto è frequente trovare paesi in cui parlare più lingue, a livello ufficiale o meno che sia, è la regola.


IV: Dunque il bilinguismo o il pluralismo linguistico non sono un’eccezione?
E.H.: Assolutamente no, basti pensare che nel sessanta per cento dei paesi convivono più lingue, anche se non sempre ufficialmente. Inoltre il concetto di monolinguismo è un concetto moderno, che nei tempi passati è stato incoraggiato particolarmente dai regimi totalitari. Si pensi che, invece, fino alla fine dell’Ottocento in Russia si parlava francese e l’apprendimento di questa seconda lingua nelle classi agiate veniva incoraggiato.


IV: Restando in tema di incoraggiamento del multilinguismo, trova che questo atteggiamento positivo persista tuttora sia a livello di educatori che, diciamo, a livello comune?

E.H.: Non sempre. Durante una conferenza che ho tenuto di recente a Monaco, per esempio, due logopediste hanno sostenuto che il bambino ha bisogno di una sola madrelingua e che l’apprenderne più di una crea difficoltà nell’apprendimento e a livello psicologico. Quindi a tutt’oggi si trovano persone a favore della lingua unica. Per quanto riguarda il modo in cui la popolazione accetta questo pluralismo linguistico, questo dipende purtroppo molto dal prestigio della lingua. Per esempio l’italiano in Baviera: qui l’italiano gode di grande prestigio e quindi non si ha una sensazione "ostile” da parte delle persone quando sentono parlare in italiano. Purtroppo, appunto, altre lingue non godono dello stesso atteggiamento favorevole.


IV: Di multilinguismo o bilinguismo si può parlare anche se una delle due lingue è una dialetto? Per esempio: un bambino che parla dialetto siciliano e tedesco, è un bilingue?
E.H.: Sì, a tutti gli effetti. Non si deve confondere la lingua accademica, per esempio l’italiano "standard”, con il fatto di parlare comunque due lingue differenti. Una cosa è il bilinguismo, un’altra la bialfabetizzazione.

IV: A proposito dell’educazione del bambino bilingue, il modello che viene comunemente seguito è: una persona una lingua.
E.H.: Sì, questo è il modello più conosciuto, ma in realtà non necessariamente un bambino che senta mischiare le due lingue avrà maggiori difficoltà nell’apprenderle. Al contrario, se fino a pochi anni fa il mischiare le lingue era visto come un qualcosa di negativo, la ricerca più moderna ha messo in rilievo una visione positiva del fenomeno, lo considera indice di grande dimestichezza nelle due lingue, della capacità di rielaborare le stesse. Vorrei inoltre precisare che è grazie a questa continua reinterpretazione che i parlanti fanno della lingua che si formano nuove lingue.


IV: In tema di educazione infantile, cosa deve fare un genitore quando il bambino rifiuta la sua lingua? Per esempio un italiano che senta il figlio rispondere alle proprie domande in tedesco?
E.H.: Questo succede abbastanza frequentemente. L’atteggiamento comune è quello di insistere o di bluffare. Il genitore italiano finge di non capire il figlio che risponde in tedesco. In realtà prima di tutto bisognerebbe capire per quale motivo il bimbo rifiuta la lingua. I bambini sono molto sensibili alle reazioni dell’ambiente circostante e quindi, probabilmente, qualcuno tra chi gli sta intorno gli ha fatto vivere il fatto di parlare l’italiano standard o il dialetto come un qualcosa di negativo. Il bimbo comunque non va in nessun caso forzato e bluffare non serve perché il piccolo sa perfettamente se il genitore capisce anche la lingua dominante o meno. Ritengo che aiuti, invece, creare delle aeree di gioco o di interesse che possano far appassionare il bambino alla lingua, per esempio, mettendolo a contatto con altri bambini italiani, mostrandogli libri e cartoni animati in italiano e così via.


IV: E il ruolo della scuola?
E.H.: È giusto che la scuola ponga dei modelli da seguire come l’italiano standard, l´Hochdeutsch, etc. Però deve allo stesso tempo accettare e valorizzare le diversità linguistiche e culturali, cercando di integrarle il più possibile nella vita didattica. È fondamentalmente giusto pretendere che
gli alunni si esprimano e scrivano in modo corretto, seguendo le regole linguistiche attuali. Altrettanto importante è la capacita di tolleranza di "errori” dovuti a momentanea confusione dell’individuo bilingue e non ad un "gap” permanente di conoscenze. E la scuola tedesca è purtroppo ancora lontana da questo obiettivo, salvo alcuni insegnanti singoli, molto impegnati e all’avanguardia.


IV: Tornando al tema del bilinguismo in generale, secondo Lei, è possibile il bilinguismo perfetto?
No, o non a livello diffuso per lo meno, perché alla fine esiste una lingua che viene padroneggiata meglio dell’altra. A meno che non si usi la lingua come strumento di lavoro. I traduttori e gli interpreti bilingui e bialfabetizzati in due (o più) lingue. Questo è comunque il risultato di
anni di studio e di addestramento. Si tratta dunque di un’eccezione ad alto livello: non possiamo pretendere da ogni bilingue di comportarsi come un interprete professionista.


IV: Secondo la Sua definizione, è bilingue chi vive a contatto con due lingue. Per l’accezione comune, tuttavia, per bilingue s’intende chi contemporaneamente impara due lingue, non chi ne apprende una dopo l’altra…

E.H.: Non è così dal punto di vista linguistico, dato che si distingue tra bilinguismo per apprendimento contemporaneo, che si considera possibile fino a circa dieci anni di età, oppure per apprendimento consecutivo, se si oltrepassa questa età.

(2005-1 pag 21)

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