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Categoria: Mito
Pubblicato Domenica, 30 Aprile 2017 22:06

Logos e Mythos

II parte – Morfeo e i sogni

Laura Benatti

Como, 26 aprile 2017
Sono note in farmacologia le proprietà analgesiche e soporifere della morfina, ottenuta dalPapaver somniferum”, originario dell’Asia e introdotto nel Mediterraneo già da tempi antichissimi.
L’oppio, la droga ottenuta dal medesimo fiore, entrò come componente principale nella “Theriaca” (greco therios), cioè una medicina inventata da Mitridate re del Ponto (132 - 63 a.C.), una panacea utile come rimedio per ogni male. Paracelso (1493/1541) medico, alchimista svizzero, adottò il termine “laudano” (da “laudare”, ndr) per indicare il medicamento analgesico oggi non più in uso a base di oppio.

Ma da dove deriva la parola italiana “morfina”? Le sue radici affondano nella mitologia greca e arrivano lontanissimo, fino al figlio di “Sonno” (greco “Ypno”) cioè Morfeo che ha come madre “Notte” (greco “Nyx”). Morfeo (greco “morfé” ovvero “forma, sembianza”) indica l’aspetto con cui egli si presenta agli uomini che sono stati addormentati accarezzando le loro palpebre con un mazzo di papaveri. I suoi fratelli, secondo il poeta latino Ovidio (I d.C.), sono Fobetore-Icelo e Fantaso. Morfeo è il più importante e a lui vengono affidati i messaggi per i re e i comandanti, Fobetore-Icelo è portatore di sogni rappresentanti animali e incubi (greco “Fobos”, paura), mentre Fantaso popola i sogni degli uomini di paesaggi irreali ed esseri inanimati.

Morfeo è dotato di grandi ali che, quando sbattono, non fanno rumore ed è rappresentato solitamente con un mazzo di papaveri nell’atto di abbracciare il padre Ypno.

Solitamente Morfeo è accompagnato da piccoli esseri che sono le Illusioni.
Ma dove vive Morfeo con la sua famiglia? Su un ramo del fiume Lete che ha due porte: una d’avorio, l’altra d’osso. Dalla porta di avorio escono i sogni folli, dalla porta di osso i sogni realistici e le profezie.
L'opera latina più famosa che parla di questo mitico corso d’acqua è l'Eneide di Virgilio (70 a.C. - 21 d.C.), nel VI libro, vv. 703-723, parte in cui Enea chiede perché quelle anime desiderano tornare sulla terra.

Frattanto vede in una valle appartata un bosco isolato e i fruscianti rami della selva e il fiume Lete che scorre vicino alle dimore. Vi si aggiravano intorno genti e popoli numerosi, come nei prati quando le api durante l'estate serena si posano sui variopinti fiori, sciamano intorno ai candidi gigli e ogni campo risuona per il loro ronzio. Stupisce l'ignaro Enea alla vista improvvisa e ne chiede le cause, quale sia quel fiume lontano e quali uomini abbiano riempito le rive in schiera così numerosa. Allora il padre Anchise: - Le anime, che altri corpi avranno dal destino, bevono le acque prive di inquietudini del fiume Leteo e lunghi oblii. In verità già da tempo desidero ricordarti queste anime e mostrartele e contare ad uno ad uno questi miei discendenti perché tu possa maggiormente rallegrarti con me d'aver raggiunto l'Italia - O padre, si deve proprio credere che alcune anime ritornino di qui al cielo terrestre si rivestano dei corpi pesanti? Quale desiderio così funesto hanno questi miseri? Te lo dirò e non ti terrò sospeso nell'ansia, o figlio, (…)

Gli antichi ritenevano che i sogni fossero dei messaggi oscuri, da leggere e da interpretare: era infatti attraverso le manifestazioni oniriche che le divinità cercavano di dare esortazioni all’uomo.
Se pensiamo alle più importanti spedizioni militari…avevano con sé tra i vari professionisti anche gli interpreti dei sogni, tanto preziose erano ritenute le loro conoscenze!

Epicuro (341 a.C./271 a.C.) tentò di spiegare “scientificamente” i sogni: egli, infatti, riteneva che questi non fossero altro che aggregazioni di atomi che restano attivi anche durante il sonno.
Artemidoro di Daldi (II d.C.) nel “Libro dei sogni” distingue tra i sogni veri e propri, che non necessitano di un’interpretazione, ma risultano chiari e comprensibili, ed altri allegorici, per i quali è indispensabile un’interpretazione, contenendo essi possibili ammonimenti per il futuro. I sogni falsi, invece, costituiscono delle semplici visioni, dovute ad una condizione particolare dell’anima o del corpo.

Anche nel poeta latino Lucrezio (94 - 50 a.C.) possiamo ritrovare il tema del sogno, contenuto nel quarto libro del suo capolavoro “De rerum natura”: proprio in questo le mille passioni che turbano la mente umana e degli animali possono trovare un’importante valvola di sfogo. Particolarmente efficaci appaiono, a questo proposito, alcune immagini del mondo animale, come quella dei cavalli che nel sogno paiono ancora lottare per la vittoria nel circo, dei cani che, pur se addormentati, ancora partecipano dell’eccitazione della caccia, e degli uccelli che si levano in fuga per aver sognato un predatore.

E l'attività alla quale ognuno di solito è attaccato e attende,
o gli oggetti sui quali molto ci siamo prima intrattenuti
e nell'occuparsi dei quali è stata più intenta la mente,
in questi stessi per lo più nei sogni ci pare d'essere impegnati:
gli avvocati credono di perorare cause e confrontare leggi,
i generali di combattere e di impegnarsi nella battaglia,
i naviganti di sostenere la lotta ingaggiata coi venti,
e noi di compiere quest'opera e d'investigare sempre la natura
e scoprirla ed esporla in pagine scritte nella lingua dei padri.

Così tutte le altre attività e arti per lo più paiono nei sogni
tenere prigionieri di fallaci immagini gli animi degli uomini.
E chiunque per molti giorni continuamente fu presente
e attento agli spettacoli, per lo più vediamo
che, quando ha ormai cessato di percepirli coi sensi,
conserva tuttavia aperte nella sua mente altre vie,
per le quali possono entrare i medesimi simulacri.

E così per molti giorni quelle stesse immagini si presentano
davanti ai suoi occhi, sì che anche da sveglio crede
di veder persone che danzano e muovono le flessibili membra,
e di percepire con le orecchie il limpido canto della cetra
e la voce delle corde, e di vedere gli stessi spettatori
e, insieme, lo splendere dei vari ornamenti della scena.

Tanto grande è l'importanza della passione e del piacere
e delle occupazioni consuete,
non solo per gli uomini, ma anche per tutti gli animali.
Vedrai infatti forti cavalli, le cui membra giaceranno distese,
tuttavia irrorarsi di sudore nel sonno e ansar senza posa
e tender le forze all'estremo, quasi fossero in gara per la vittoria,
o le sbarre fossero state aperte …

E spesso i cani dei cacciatori, pur mollemente addormentati,
tuttavia dimenano d'improvviso le zampe e emettono d'un tratto
latrati e aspirano frequentemente con le nari l'aria,
come se avessero scoperto tracce di fiere e le seguissero;
e spesso, essendosi svegliati, inseguono vane
immagini di cervi, quasiché li vedessero lanciati nella fuga,
finché, dissipati gli errori, ritornano in sé.

Ma la carezzevole prole dei cuccioli, avvezza a vita domestica,
in fretta scuote via e solleva da terra il corpo,
quasiché vedesse figure e facce ignote.
E quanto più una razza è feroce,
tanto più nel sonno essa deve infuriare.

Ma i variopinti uccelli fuggon via e, sbattendo le ali,
d'un tratto turbano durante la notte i boschi sacri,
se nel dolce sonno sembrò loro di vedere sparvieri
dare battaglia e far zuffa perseguitandoli a volo.

Inoltre le menti degli uomini, che con grandi movimenti producono
grandi cose, spesso nei sogni le fanno e le svolgono parimenti:
i re espugnano, son fatti prigionieri, si gettano nella mischia,
emettono grida come se fossero scannati in quel punto stesso.
Molti lottano all'ultimo sangue e mandano gemiti di dolore
e, come se fossero dilaniati dai morsi d'una pantera
o d'un feroce leone, riempiono tutto di grandi grida.

Molti nel sonno parlano di cose gravi,
e così parecchi denunziarono proprie colpe.
Molti affrontano la morte. Molti, come se da alti monti
precipitassero a terra con tutto il peso del corpo,
sono sconvolti dalla paura e, destandosi, come mentecatti
a stento tornano in sé, perturbati dal rimescolio del corpo. (vv.
962-1023)

Comunque siano le cose, è sempre suggestivo pensare…
“We are such stuff as dreams are made on; and our little life Is rounded with a sleep”.  (William Shakespeare)

 

 

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