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Categoria: Cultura italiana a Monaco
Pubblicato Mercoledì, 08 Dicembre 2010 15:29

Un contagio emozionale

Intervista al baritono trentino Armin Kolarczyk

In Trient geboren, wuchs der Sänger zweisprachig - italienisch und deutsch - auf. Zunächst studierte er Violine am Konservatorium in Trient mit Studienabschluss im Jahr 1986. Ein Jahr später begann er das Gesangstudium bei Ada Zapperi in München. Es wurde ergänzt durch den Besuch verschiedener Meisterklassen unter anderem bei Erik Werba und Giuseppe Taddei. Parallel widmete sich Armin Kolarczyk dem Studium der Rechtswissenschaften, welches er 1992 an der Universität Innsbruck erfolgreich beendete. Nach dem juristischen Examen wurde der Gesang zu seinem Schwerpunkt.

Maria Cristina Picciolini

“Realizzare noi stessi significa essere coscientemente collegati con la nostra sorgente di vita. Una volta che abbiamo compiuto questo collegamento, niente può più andarci storto”.

(Swami Paramananda)

Siamo andati nel Baden Württemberg ad intervistare il baritono Armin Kolarczyk. Con un cognome straniero, ma con uno spirito e un temperamento puramente italiano e, soprattutto, con un grande amore per l’Italia. Nato a Trento dove ha passato la sua giovinezza, fa parte dell’ensemble del Teatro dell’Opera di Karlsruhe.

 

INTERVenti (IV): Ciao Armin, che piacere rincontrarti. E soprattutto in occasione della presentazione del Don Carlo. Prima d’intraprendere la nostra chiacchierata vorrei che tu ci togliessi subito una curiosità. Il tuo cognome, Kolarczyk, non è che suoni proprio italiano. Ci vuoi raccontare brevemente da dove viene?
Armin Kolarczyk (AK): Certo capisco la tua curiosità e ti chiedo scusa se sorrido mentre ti rispondo. Infatti questa è la solita domanda che mi fanno ogni volta che mi trovo in Italia. Ho ereditato questo cognome da mio nonno.

Questi era nato a Cesky Tesin, una città che prima della prima guerra mondiale faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico e che oggi si trova nella repubblica Ceca. Mio nonno si trasferì per motivi di salute a Merano, che a quei tempi faceva ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico. A casa di mio nonno si parlava tedesco e siccome mia madre è di origine austriaca e la mia lingua madre è diventata anche per me il tedesco.

IV: E allora come è possibile che tu parli un italiano cosi perfetto, addirittura con accento trentino?

AK: Perché i miei genitori poi si trasferirono a Trento. Io ebbi allora la fortuna di nascere e di compiere i miei studi in Italia.


IV: Mi sembra d’intuire in te una certa „felicità„ per essere cresciuto in Italia o sbaglio ?

AK: No, non ti sbagli. Ad essere sincero, mi piace molto essere considerato italiano.

Come carattere mi sento vicino a quella mentalità aperta che è tipica italiana. E poi la lingua e certi modi di fare che ho imparato tra i banchi di scuola e dai compagni di gioco sono stati per me meravigliosamente contagiosi, nonostante che l’etichetta di “straniero” non me l’abbia tolta nessuno, un po’ per la fisionomia, che denota chiaramente la provenienza da un popolo dell’est, e per la lingua tedesca. Qualche volta quando mi trovo all’estero e vengo considerato italiano, sorrido e, naturalmente, confermo!

IV: Nella tua biografia riportata sul sito web dello “Staatstheater” di Karlsruhe si legge che hai studiato giurisprudenza e poi ti sei iscritto al conservatorio. Come, quando e sotto quale influsso speciale è nata l’idea d’intraprendere la carriera di cantante?

AK: Da quando iniziano i miei ricordi, la musica è sempre stata presente nella mia vita quotidiana. Da bambino mi perdevo in un mondo fantastico quando ascoltavo musica classica, iniziando da Bach per passare poi a Ciaikovskji. Poi la necessità non solo di ascoltare, ma anche di esprimermi con la musica mi ha presto trasportato allo studio del violino, che ho continuato fino a conseguire il diploma. Lo studio del canto iniziò poi quasi per scherzo, per diletto, un po’ più tardi, quando la conoscenza casuale con la cantante lirica Ada Zapperi accese in me la passione per l’opera. Per cui per la mia carriera di cantante, oltre allo studio, alla disciplina, al talento e ad una buona dose di fortuna la devo molto alla signora Zapperi, che da sempre è la mia insegnante. Invece la scelta di studiare giurisprudenza, che ho trovato veramente interessante, fu dettata dalla ragione e dal buon senso dei miei genitori che si preoccupavano del mio futuro. Poi arrivai ad un certo punto in cui si delineavano due differenti vie, la laurea in giurisprudenza e una carriera come cantante. Si trattava di scegliere da una parte, per un esistenza forse finanziariamente più sicura e sedentaria, e dall’altra parte per un futuro più incerto ma all’insegna della musica. Cosi mi ritirai ad ascoltare la mia voce interiore e, cosciente che la musica era diventata nel frattempo una parte quasi fisica di me, scelsi la musica. Iniziai a fare audizioni presso agenti e teatri già prima di aver portato a termine gli studi universitari e al secondo tentativo ricevetti l’offerta da un piccolissimo teatro bavarese. Accettai e in extremis conseguii anche il titolo di laurea. Mi dissi, non si sa mai! E così, come vedi, ci ho messo del mio, ma anche il destino ci ha messo la mano.


IV: Come inizia la giornata di un baritono?

AK: D’impulso mi viene da risponderti che la giornata inizia come quella di tutti gli altri. Faccio colazione, una doccia e poi vado alle prove in teatro o rimango a studiare a casa per conto mio. L’unica differenza è che, quando mi sveglio la mattina, è diventato per me un riflesso (odioso!) quello di controllare per prima cosa se la voce è a posto. Purtroppo in inverno il clima insieme allo stress mi rende più soggetto a raffreddori. E c’è sempre il sospetto che ci sia qualche sintomo in gola che non permette di affrontare le prove o che ti costringe a disdire una recita.


IV: Quanto tempo è necessario per preparare un opera e quante ore si lavora al giorno?

AK: La data più importante nella preparazione di un opera è quella della prima. Le prove sceniche iniziano di solito sei settimane prima. Se hai un ruolo principale, come ad esempio avrò prossimamente nel Figaro del Barbiere di Siviglia, capita di provare anche otto ore al giorno. Se hai un ruolo minore, certo il tempo si riduce. Il presupposto per le prove sceniche è che tu abbia la parte pronta dal punto di vista musicale, e questo richiede un periodo da qualche settimana a qualche mese, a seconda della complessità del ruolo.


IV: Quanti anni di lavoro ci sono voluti per raggiungere il livello di preparazione che hai raggiunto?

AK: Per arrivare al mio livello attuale ci sono voluti circa vent’anni. Cominciai a studiare canto nel 1987 con la mia insegnante rivestendo ruoli più lirici, cioè più agevoli per un cantante ancora inesperto. Poi nel 1992 ebbi la prima scrittura e da allora sono “in carriera”, quella carriera che ho raggiunto grazie anche alla mia insegnante, la signora Zapperi, che mi ha insegnato la tecnica vocale necessaria sia per sopravvivere agli sforzi della quotidianità in teatro sia per avere i mezzi espressivi per interpretare vari stili e vari personaggi. L’emozione si trasmette con il suono della voce: gioia, delusione, cattiveria, tenerezza e cosi via hanno bisogno di un “colore” diverso. Infatti non puoi cantare Verdi come Mozart.

Ora ho raggiunto un repertorio molto vasto che comprende anche parti drammatiche come Jago in Otello o il Marchese di Posa in Don Carlo. Quest’ultimo è stato un sogno fin dall’inizio dei miei studi e proprio quest’anno si è avverato! La realtà è di gran lunga migliore del sogno. E la strada continua.


IV: Quando la vita va per il verso giusto e s’inizia a respirare quel profumo che odora di successo sentiamo che la strada davanti è solo in salita, senza tener conto dei rischi che ci sono di perdersi e di perdere la testa per il trionfo. Credi che ci sia un segreto per non perdersi, e se sì, ce lo vuoi svelare?

AK: Questo è un argomento con il quale vengo confrontato spesso. Dopo serate di “successo”, dopo i cosiddetti “trionfi” alcuni mi dicono: “Mica ti monterai la testa adesso…”

Per cui, se dopo una serata non riesci a toglierti la maschera e continui a fare “il cantante” anche fuori dal teatro, il pericolo di perdersi c’è. Io ho la fortuna di avere una famiglia che ogni giorno mi fa rendere conto che la vita è troppo bella e varia per essere “ridotta” a quella di un cantante.


IV: Per un artista fermarsi equivale a morire e il rischio molto spesso è l’innamoramento di se stessi. Quanto ti ritrovi in questa frase?

AK: Non c’è mai la verità assoluta riguardo ad una interpretazione, bensì solo quella relativa al momento. Durante una serata eccezionale può succedere che tutto appaia “vero”, e ti senti trasportato da uno spirito superiore, da un’ispirazione collettiva che trasporta nella sua onda tutti, cantanti, orchestra e pubblico. Ho avuto la fortuna di vivere uno di questi momenti una settimana fa durante una recita del Don Carlo. Una serata come questa vale la fatica di tanti mesi di lavoro. Il rischio dell’ innamoramento di se stessi, come dici tu, non lo conosco. Credo invece che un artista debba stare molto attento ai propri sviluppi e capire in quale direzione vanno. Proprio in questi giorni, nei quali sto preparando il Barbiere di Siviglia, mi rendo conto dell’enorme differenza che c’è tra come interpretavo Figaro qualche anno fa rispetto a come lo faccio oggi. Cantare lo stesso ruolo a distanza di tempo mi fa capire se e come mi sono evoluto. Credo che sia una legge della natura quella che afferma che fermarsi equivale a morire. E questo vale anche e soprattutto per un artista!


IV: Mi sembra di capire che l’opera del Don Carlo sia uno di quei sogni che riposavano nel cassetto da diverso tempo. Quanto sono importanti i sogni nella tua vita? Ci vuoi svelare se ne hai altri?

AK: I sogni nella vita hanno un importanza enorme, sono le mete a cui miro. Ho capito che sono realizzabili e se nella vita dici…“sarebbe bello…, ma non ci riuscirò mai” allora sarà di certo così. Invece se hai un sogno e lo desideri veramente, allora lasciati sorprendere… Mi ricordo che da bambino quando gli altri amici sognavano di diventare, che so io, vigile del fuoco, principe, poliziotto, medico, eccetera, io invece immaginavo di diventare direttore d’orchestra. Poi in seguito ho cambiato modo di rispondere: quando gli adulti mi chiedevano cosa volessi diventare io rispondevo semplicemente “felice!” Così è stato con l’opera del Don Carlo che è sempre stato il mio sogno più grande perché ne consideravo la realizzazione assai lontana. Poi quando mi sono trovato davanti agli occhi questa possibilità, ho avuto una piacevole sorpresa. Vuoi sapere se ho altri sogni nel cassetto? Devo ammettere che per adesso non ho concreti sogni professionali anche se rimango volentieri a meditare su quale potrebbe essere la prossima avventura che sicuramente intraprenderò sempre sostenendomi al sovraintendente e all’“Operdirektor” del teatro di Karlsruhe, anche loro curiosi come me di esplorare e di estendere i miei limiti. Nel frattempo vado alla scoperta del repertorio tedesco di Wagner e Weber e poi chissà se scoprirò altre perle… Mi lascerò ispirare.


IV: Il compositore tedesco Orff nella sua linea pedagogica dice che la musica la s’impara facendola fisicamente ed emozionalmente in prima persona. Solo così essa può contribuire alla nostra crescita e alla nostra formazione come individui. Parliamo della didattica musicale nelle scuole. Molti bambini si trovano ad essere educati CON la musica invece che ALLA musica. Cosa pensi al riguardo ?

AK: Sono pienamente d’accordo. Come in tanti altri campi, la società si muove in una direzione che favorisce il vivere in terza persona: si guarda troppo come vivono gli altri lasciandoci trascinare dal fascino della televisione e dei videogame e mettendo invece da parte l’importanza di poter provare le soddisfazioni che creano ad esempio l’aver fatto il pane con le proprie mani, aver dipinto un quadro, aver fatto musica con amici… insomma attraverso l’essere creativi e provando emozioni. Per i bambini è fondamentale “vivere” la musica (come in generale “vivere la vita”). Solo così possono usare la musica come mezzo per esprimersi e per conoscere se stessi. Mi ricordo quando da bambino sprofondavo e mi perdevo nella musica, ancora oggi, quando il tempo me lo permette, lo faccio, e sono momenti di gioia incredibile.


IV: Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere la carriera musicale?

AK: Mi sembra difficile dare un consiglio perché ogni storia è soggettiva. I presupposti necessari per diventare un buon cantante sono: la qualità della voce, la tecnica vocale, un buon aspetto fisico (che al giorno d’oggi è sempre più importante), una predisposizione psicologica fatta di grande sensibilità e di forza interiore per sopportare i colpi bassi e le critiche, infine, per chi ci creda o no, ci vuole anche fortuna oppure la capacità di cogliere la giusta occasione.


IV: Credi che un successo immediato possa provocare scompensi ad un giovane attore?

AK: Secondo me dipende dal carattere della persona. La professione del cantante è ritenuta da molti qualcosa di “speciale” e sicuramente è così. Ma bisogna essere consci che questo “speciale” non vuol dire “essere migliori di altri”. Qui a Karlsruhe ho la fortuna di non constatare rivalità all’interno della compagnia. Al contrario c’è quella complicità che porta ad aiutarsi a vicenda e a gioire del successo dei colleghi. Anzi, il successo dei colleghi ti invoglia a seguire il loro esempio. È veramente una situazione ideale.


IV: Qual’è stato il sentimento di paura più forte che hai mai provato?

AK: Questa è una domanda interessante. La paura più forte l’ho provata a diciotto anni, quando ho appreso che mio padre si era ammalato di cancro. Ebbi una grandissima paura di perderlo. Quando venne fatta la diagnosi stavo seguendo un corso di perfezionamento di violino e ricordo che mi chiusi in una stanza, da solo, per piangere e capire quello che volesse significare per me e per la mia famiglia.


IV: C’è qualcosa in particolare che ti manca dell’Italia?

AK: Sì, certo, l’Italia!! Cioè la gente, la mentalità aperta, i paesaggi incantevoli, le montagne, il mare, il sole e soprattutto la melodia della lingua. Pensa che con i miei figli, che ora hanno otto e dieci anni, fin dalla loro nascita ho sempre parlato esclusivamente in italiano e ultimamente mi hanno detto che se all’improvviso decidessi di parlare con loro in tedesco, non sarei più il papà che loro conoscono. La verità è che quando vado in Italia mi sento tornare a casa e mia moglie sostiene che quando parlo italiano ho un’espressione più distesa e serena.


IV: Ti piacerebbe un giorno cantare in Italia?

AK: Certo! Ho avuto per il prossimo dicembre l’offerta di cantare al teatro di Cagliari. Purtroppo è un evento che ancora non possiamo definire sul programma perché proprio in quel periodo avrei un ruolo in più da cantare a Karlsruhe. Vedremo come andrà a finire !


IV: Se dico “amore” a cosa ti viene di pensare?

AK: Certamente alla mia famiglia, questo è chiaro. Anche se con il tempo ho imparato che amore è un concetto assai più vasto. È un sentimento che non deve necessariamente avere dei limiti. Riguarda uno stile di vita un modo di essere che ho fatto mio. Perché ad esempio non seguire i grandi come Gandhi, Buddha, Gesù? Certe volte è difficile da mettere in pratica. Eppure a volte mi è successo d’incontrare persone antipatiche, ma, provando a guardarle con amore, sono riuscito a superare questo sentimento negativo e a trasformarlo in positivo. Altri concetti legati all’amore che mi vengono in mente sono ad esempio gioia, fiducia, gratitudine, perdono… Certamente ci sono tanti tipi diversi di amore, ma trovo stupido metterli a confronto, nel senso che uno non vale più o meno dell’altro. Per me l’amore splende come il sole: si può dire che quello al mare è meglio di quello in montagna? Oppure che quello del mattino è meglio di quello della sera? Banale, vero?


Avere la fortuna di aver vissuto dei bei momenti accanto ad una persona come Armin colora il mondo in positivo e soprattutto fa venire una gran voglia di contagiare anche tanta altra gente…

grazie Armin


INFO: (www.staatstheater.karlsruhe.de)


(2009-4 pg 4)

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