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Categoria: Cinema
Pubblicato Mercoledì, 01 Dicembre 2010 10:27

Tajabone e Cantascorie

Quando gli alunni “difficili” ci danno lezioni di educazione civica. E di vita

Beim diesjährigen Filmfestival von Venedig - zwischen nicht allzu glanzvollen Stars, heftigen Stürzen auf dem Roten Teppich und Polemiken bezüglich der Auswahl der Jurymitglieder – hat ein italienischer Low-Budget-Streifen (10.000 EUR)  für Aufsehen gesorgt.

Luana Abate

All’ultima Mostra del cinema di Venezia, tra star un po’ dimesse, rovinose cadute dal red carpet e polemiche sulle scelte della giuria, un piccolo, anzi piccolissimo film italiano (diecimila euro il budget a disposizione) si è ritagliato il suo momento di gloria.

Il regista sardo Salvatore Mereu, autore, tra l’altro, del celebrato “Ballo a tre passi”, ha portato sotto la luce dei riflettori il suo ultimo progetto “Tajabone”; e di progetto, anziché semplicemente di film, è bene parlare. “Tajabone” (la parola, inaspettatamente, non è in lingua sarda, ma in “wolof”- lingua diffusissima in Senegal - e indica una festa musulmana posta alla fine del Ramadan che celebra la discesa degli angeli sulla terra), infatti, ha messo su pellicola il mondo, le aspettative, piccole o grandi che siano, i desideri ed anche la cruda realtà di un gruppo di ragazzi appartenenti a scuole “difficili” di Cagliari. E come lo stesso regista ha affermato, nessuno, specie alcuni professori, avrebbe mai pensato che si potesse cavar fuori qualcosa di buono da questi ragazzini per loro ormai perdenti. Dietro lo stereotipante aggettivo “difficile” ci sono le vicende di ragazzi extracomunitari sradicati dalle loro terre, che ancora non fanno parte della nuova realtà, quelle di adolescenti di etnia rom, perennemente senza radici e forse senza neppure il miraggio di una futura integrazione ed infine, i desideri dei ragazzi “autoctoni” nati e cresciuti nei quartieri popolari, con alle spalle storie di abbandono, violenza e degrado. Vicende raccontate con le loro parole, perché loro stessi si sono prestati come attori, ma anche come sceneggiatori, vincendo iniziali ritrosie e facendosi via via coinvolgere nel “progetto” (ed è per questo che usiamo questa parola), che, nato tra i banchi un po’ malfermi di due scuole medie dei quartieri di San Michele e di Sant’Elia di Cagliari, li ha portati alla ribalta, almeno per qualche giorno, della prestigiosa rassegna lagunare.
Non parliamo né di novità assoluta (e lo stesso Mereu cita il documentarista Vittorio De Seta come suo modello), né di miracolo (forse sarà possibile usare questa parola quando il film troverà una distribuzione), ma di vicenda esemplare, e finalmente positiva, questo sì!

Una scena del film

Che gli alunni siano più motivati nell’apprendimento se questo li stimola e li coinvolge personalmente con i loro sentimenti, le loro storie, i loro interessi e il proprio territorio è un fatto che ormai, gli insegnanti che operano con “alunni difficili” cercando di creare con loro rapporti umani positivi e in grado di coglierne le potenzialità nascoste, hanno capito e cercano di mettere costantemente in campo durante l’attività didattica.
E allora, seguendo un ideale filo rosso, varchiamo il Tirreno e da Cagliari, dopo un viaggio anch’esso “difficile” a bordo dei vetusti traghetti della Tirrenia, sbarchiamo a Civitavecchia. Da qui prende piede un’altra piccola storia esemplare, che ha stavolta per protagonisti i ragazzi e le ragazze del Centro di formazione professionale vincitori, nel 2010, del premio “Valerio Verbano” per cortometraggi e progetti multimediali, bandito dalla Provincia di Roma e dedicato ad un ragazzo di diciannove anni ucciso a Roma nel 1980 in un misterioso agguato dai torbidi connotati politici. Ancora vi chiederete: cosa c’è di esemplare in questa vicenda? Anche qui parliamo di ragazzi “difficili” che cercano, con fatica, di trovare uno sbocco professionale per il proprio futuro, per lasciarsi alle spalle vicende personali e familiari spesso molto complicate ed approdare nel mondo del lavoro con qualche competenza specifica. E lo fanno in una città, Civitavecchia, che paga un fortissimo prezzo in termini di disoccupazione e problemi ambientali legati soprattutto alla progressiva dismissione del polo industriale che sorge nella cittadina laziale.
Questa realtà, che i ragazzi vivono quotidianamente, si è trasformata nel corto “I Cantascorie”, una “visita guidata” nei luoghi del disastro ambientale, dove l’uomo e la sua opera hanno violentato, spesso in modo irreparabile, l’habitat naturale.

Il porto di Civitavecchia

In entrambe le vicende i ragazzi e le ragazze, spesso sordi agli stimoli della didattica tradizionale, e, anzi, talvolta scelti proprio tra coloro il cui rendimento scolastico è fortemente deficitario, hanno dimostrato via via, dopo un iniziale scetticismo, un progressivo e sincero entusiasmo per il progetto, fin quasi a “dispiacersi” quando il lavoro è stato portato a termine; e questo trapela, con una punta di malcelato orgoglio, sia dalle parole del regista Mereu sia da quelle degli insegnanti che hanno guidato e aiutato i ragazzi del C.F.P. di Civitavecchia.

In fondo, è solo una piccola storia, ma di quelle, sempre più rare da leggere nei giornali, che lasciano un poco di buonumore, e un filo di speranza, per il futuro nostro e dei “nostri” ragazzi.

(2010-4 pag 17)

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