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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Venerdì, 06 Giugno 2014 22:51
I Cavalieri della Laguna
Intervista al regista Walter Bencini e al protagonista, il pescatore, Sergio Amenta, del film “I Cavalieri della Laguna”, girato presso le lagune del Monte Argentario
Orbetello, 28 maggio 2014.
Nel sud della Toscana c’è un angolo di paradiso bagnato da una laguna che si estende per 2.525 ettari. Qui per lunghi periodi dell’anno sostano aironi, cavalieri d’Italia, falchi e circa duemila cormorani. La laguna abbraccia un paese di 15.000 abitanti, Orbetello, che vive per lo più di turismo e pesca. Nel sangue dei suoi abitanti si ritrova l’anima degli etruschi, dei longobardi, dei bizantini e degli spagnoli. Nonostante la sua grande ricchezza naturale, la crisi economica sembra aver raggiunto da qualche anno anche questa zona, mettendo in difficoltà la più grande risorsa economica del paese, la pesca e i suoi pescatori, che da qualche anno hanno costituito una cooperativa, riconosciuta da Slow Food.
Walter Bencini, regista nato a Montevarchi (Arezzo), dopo anni di riflessione decide di far parlare i “Cavalieri della Laguna” con un film-documentario, dove la realtà e la vita quotidiana si mescolano tra il dolce e il salato.
Ciao Walter, ciao Sergio, ci volete raccontare come è nato il progetto e come è nato il vostro incontro?
W: Avevo già parlato della loro bottarga di muggine in una mia serie TV del 2006 “Terre d'Italia” prodotta per Rai Sat Gambero Rosso Channel, quindi incuriosito, con il tempo ho deciso di approfondire. L'esperienza di collaborazione con Slow Food mi ha portato a conoscere meglio la realtà della cooperativa e di alcuni meravigliosi pescatori che mi hanno dato l'input decisivo ad iniziare nel 2010, lo sviluppo del film.
S: Con Walter ci siamo conosciuti una decina di anni fa negli eventi di Slow Food. Ci si incontrava in giro per l’Italia a volte nelle fiere. Mi aveva parlato più volte della sua idea. All’inizio non ero convinto anzi ero proprio scettico se realizzare questo film, perché conoscendo me e i miei colleghi pescatori, che nel nostro lavoro siamo anime libere, mi chiedevo: ci riusciremo? Poi ci siamo decisi di farlo e Walter si è dimostrato un grande professionista. Con la sua sensibilità e intelligenza ha vissuto insieme a noi per mesi, quasi in silenzio, senza urtare la nostra suscettibilità.
Quale è il messaggio del film?
W: Sintetizzando, se vogliamo ritrovare un rapporto armonico con noi stessi e con la natura, dobbiamo riconcepire un sistema di produzione che si basa sui prodotti locali guadagnando poi in gusto, in salute, in qualità dell’ambiente, in posti di lavoro, e allo stesso tempo salvaguardando le tradizioni e la cultura del luogo.
Con questa crisi economica senza precedenti, in cui il sistema di produzione di cibo industriale ha pienamente fallito, diventa fondamentale mettere in luce e promuovere dei modelli produttivi alternativi. Questa comunità ne è un esempio, perché da generazioni riesce a vivere del proprio lavoro, tutelando al tempo stesso un ecosistema delicato che non sopporta l’invadenza dell’uomo e che quindi necessita cura e attenzione.
Questi uomini “custodi” con le loro barchette sono i veri eroi contemporanei perché nonostante il destino incerto, continuano a resistere pur di continuare la storia dei padri e dei nonni. Mi piace immaginarli come dei samurai in lotta contro il mostro di un occidente omologante.
Come si diventa primo pescatore della pesca vagantiva e cosa vuol dire “vagantiva”?
S: Ho iniziato questo lavoro a quindici anni e dopo quattro anni di apprendistato e un anno di militare sono diventato socio della cooperativa. Pescatore della pesca vagantiva ci si diventa un po’ per anzianità, un po’ per l’esperienza, un po’ per il carattere.
E vagantiva è un termine che proviene dal verbo vagare, per cui: il pescatore che vaga per tutta la laguna.
Passione, disciplina, coraggio: quale metteresti al primo posto nel vostro lavoro?
S: La passione in prima posizione. Un vero pescatore deve avere la passione nel sangue altrimenti non ce la farà mai ad andare avanti. È la passione che non ti fa sentire il freddo quando fuori è gelato, e non ti fa sentire l’afa quando ci sono 35 gradi. Non ti fa sentire il sacrificio.
La disciplina è necessaria per l'azienda.
Riguardo al coraggio, da giovani pensavamo che le nostre forze fossero sinonimo di coraggio, invece con il tempo abbiamo capito che era solo incoscienza. Il coraggio vero e proprio è stato la creazione dell’azienda.
Nonostante gli anni bui prima della bonifica, abbiamo preso in mano la situazione della laguna, debiti compresi e piano piano ne siamo usciti fuori!
La realizzazione finale del film ha seguito il messaggio iniziale oppure durante il tragitto è cambiato qualcosa?
W: Il messaggio non è cambiato durante il percorso, ma la struttura narrativa sì. Conciliare l'imprevedibilità della vita reale con una struttura narrativa immaginata in anticipo è stata la grande scommessa. Ci sono voluti tre anni per portarlo a termine, venti giorni di riprese con trenta ore di girato e due mesi di post-produzione. Il tutto è stato costruito su di una sceneggiatura di massima, molto aperta, flessibile, che è stata riscritta tre volte proprio perché le situazioni che avevo previsto in fase di pre-produzione sono cambiate; alcuni personaggi sono andati in pensione, altri non hanno funzionato come mi aspettavo, altri ancora si sono dileguati. Per fortuna ho conosciuto altri soggetti che mi hanno però portato in altre direzioni. Insomma una sceneggiatura in divenire.
Già negli anni Venti esisteva una cooperativa di pescatori. In seguito si sono associate altre cooperative fino a crearne una unica dal nome “La peschereccia”.
Quando è nata esattamente e come è cambiata nel tempo?
S: La cooperativa “La peschereccia” è nata nel 1960. La crisi del mercato e della laguna ci ha spinti a reinventarci, oggi infatti oltre a gestire il servizio di bonifica abbiamo investito in uno stabilimento per la lavorazione del pesce, abbiamo aperto un ristorante dove si serve il pescato di giornata. Offriamo la “pesca-turismo“ e organizziamo gite in battello nella laguna.
Cosa viene prodotto nello stabilimento?
S: Produciamo anguille sfumate, anguille marinate, cefalo, ombrina e palamita affumicati. Svariati sughi, di orata di spigola, di palamita, di sugarello di tombarello. E la bottarga, conosciuta in tutto il mondo.
Ieri e oggi. Quante persone siete riusciti ad impiegare nello stabilimento?
S: All’epoca eravamo circa settanta soci e automaticamente quando andava un pescatore in pensione, ne entrava uno giovane. Gli anni Novanta sono stati i più fiorenti e aumentammo i dipendenti. Serviva gente per la bonifica, per la trasformazione, per la manutenzione e per la ristorazione. Era un piacere dare lavoro alla gente. Ora le cose sono cambiate, si soffre perché la crisi ci attanaglia. In questo momento siamo 53 soci e circa 50 dipendenti. Riuscire a dare lo stipendio a cento persone è molto difficile.
Pro e contro della cooperativa. Come vivete la crisi economica?
S: La cooperativa potrebbe funzionare meglio. La gente ha capito la nostra qualità ma la crisi c’è. Negli anni precedenti il guadagno sulla vendita del pesce era maggiore e i pagamenti venivano effettuati quasi tutti in tempo reale, adesso invece il prezzo è più basso e si riscuote dopo tre mesi se tutto va bene!
Il film è uscito nel 2013. Come ha reagito il pubblico durante le proiezioni?
W: In generale il pubblico era curioso di conoscere le mie motivazioni, la durata della lavorazione del film, la mia relazione con i pescatori. Inoltre ha mostrato interesse riguardo la gravità della situazione ambientale e si è chiesto quanto il cinema documentario possa influenzare le giuste 'politiche' in tema di cibo.
Il tuo film si rivolge ad un pubblico vasto: hai pensato di presentarlo anche nelle scuole?
W: Certo, sarebbe il suo percorso naturale oltre a quello televisivo. Influenzare le nuove generazioni è uno degli obiettivi principali se vogliamo cambiare le sorti di questo pianeta. Il cinema documentario in questo momento è l'unico che può trattare certe tematiche liberamente, contrapponendosi al modello imperante. Se consideriamo che la produzione industriale di cibo, oltre ad inquinare terra, acqua, contribuisce per il 40% alle emissioni di gas serra, che impiega una quantità di energia dieci volte superiore a quella che produce, che getta via il 50% del cibo prodotto contribuendo al problema della fame e allo stesso tempo della diffusione di malattie come l'obesità e il diabete, che ha distrutto il 75% della biodiversità in campo agricolo, si può ben capire quanto sia importante l'argomento.
Cosa ti è piaciuto fin dall’inizio dell’incontro con i pescatori, e cosa ti ha colpito del carattere dei pescatori?
W: Sicuramente quel loro costante prendersi in giro, quella fierezza, quell'orgoglio del proprio mestiere, e quella tenacia nel resistere alle sfide della globalizzazione. Questi uomini hanno in sé il sentimento di avere comunque, nonostante le difficoltà, un privilegio: quello di vivere una vita che ha un senso, una vita a cui non rinuncerebbero mai. Riescono a ridere di sé e anche della loro situazione, raccontandosi senza pudori, senza peli sulla lingua, con tutte le loro contraddizioni individuali. Mi piace anche questo loro vivere con allegria, collaborando insieme alla riuscita di un progetto comune.
Quali sono state le difficoltà nel fare le riprese? Raccontaci qualche episodio.
W: La difficoltà maggiore che ho trovato non è stata tanto nelle riprese, ma nell'entrare in relazione con loro, per me è stato un viaggio umano incredibile. Questi personaggi non sono gestibili come le persone comuni, quindi all'inizio sono dovuto stare a distanza concentrandomi su uno sguardo più osservazionale per non irritarli, poi con il tempo, stando con loro, diventando uno di loro, si sono aperti senza problemi, e quindi a quel punto ho potuto interagire. Hanno capito che io stavo facendo un lavoro diverso da quelli che mi avevano preceduto, ero più interessato alle loro storie che al prodotto finito, sono entrato in relazione con quel rispetto e ammirazione che non si aspettavano, che poi è lo stesso approccio che ho utilizzato per costruire tutta la linea narrativa del film.
Avete partecipato anche al festival di Berlino nella sezione Culinary Cinema e avete riscosso un grande successo e ricevuto l’omaggio dal regista britannico Ken Loach. Cosa ha voluto dire per voi e cosa vi siete detti con Ken Loach?
W: Oltre ad un riconoscimento professionale nell'esplorazione di un genere, quello narrativo, che non avevo mai esplorato concretamente fino ad ora, questa esperienza mi ha dato anche la forza di continuare ad insistere su queste tematiche a me care, sentendomi meno solo e condividendo con gli altri il destino di un nuovo mondo.
S: Quando l’abbiamo saputo ci siamo commossi e poi più tardi durante la proiezione a Berlino tra le centinaia di persone presenti la commozione è stata contagiosa. Il pubblico si è rivelato estremamente sensibile e attento. Tutto questo ci ha fatto capire ancora di più quello che avevamo realizzato e quanto fosse apprezzata la nostra zona. L’incontro con Ken Loach è stato per noi un’altra grande conferma. Il film gli è piaciuto e alla fine è venuto a congratularsi dicendo: verrò a trovarvi presto nella vostra laguna!
Quale è stata la reazione del sindaco del comune di Orbetello e dei cittadini dopo aver visto il film?
S: Ai nostri amici è piaciuto molto, erano commossi.
Il sindaco e l’amministrazione ci hanno snobbato. Invece a Berlino avrei voluto che ci avesse onorato della presenza almeno un rappresentante del nostro comune.
Secondo me l’amministrazione ha sottovalutato l’importanza di questo film.
Hanno perso una storica occasione per parlare di Orbetello da un palcoscenico come la Berlinale.
Walter posso chiederti da chi è stato finanziato il film?
W: Il film è stato finanziato per il 50% dalla Film Commission Toscana, dall'omonima Regione, dalla Provincia di Grosseto, dalla Camera di Commercio di Grosseto, dal Consorzio Welcome Maremma e dalla Cooperativa la Peschereccia.
Qual’è il complimento più grande che avete ricevuto?
W: Mah... di solito mi fa molto piacere quando le persone mi raccontano dei pensieri e delle riflessioni che hanno fatto i giorni successivi alla visione del film, per me vuol dire che comunque qualcosa sono riuscito a comunicare, a smuovere o, in alcuni casi, a rimuovere.
S: Non cambiate!
Chi è Walter Bencini? Ce lo vuoi raccontare in breve?
W: Dopo venti anni di carriera professionale in continua evoluzione in cui ho sperimentato vari generi e linguaggi, potrei dire che la curiosità, la passione, la sperimentazione e la contaminazione di ambienti diversi, mi hanno portato inevitabilmente ad essere quello che sono oggi, un’anima che si appassiona ai problemi della vita. Se guardo indietro, potrei definire il mio percorso, un percorso mutante. Come figura professionale mi piace definirmi un artigiano del video, che localmente pensa globalmente.
INFO: Facebook: https://www.facebook.com/ICavalieriDellaLaguna
L’intervista è dedicata al giovane pescatore e amico, Giuliano Barozzi deceduto un anno dopo le riprese del documentario “I cavalieri della laguna”.